Sentenza n. 147 del 2023

SENTENZA N. 147

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 11, 13, commi 15, 32, 90 e 93, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26 luglio 2022, depositato in cancelleria lo stesso giorno, iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2023 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

udito l’avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 marzo 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso indicato in epigrafe ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 11, e 13, commi 15, 32, 90 e 93, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), in riferimento a plurimi parametri costituzionali e interposti.

1.1.– Con la prima delle disposizioni impugnate – l’art. 12, comma 11 – il legislatore siciliano ha introdotto un nuovo comma 2-bis all’art. 25 della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380). Questa nuova disposizione è identica nei contenuti all’originario comma 3 del medesimo art. 25, che era stato sostituito dall’art. 20, comma 1, lettera b), della legge della Regione Siciliana 6 agosto 2021, n. 23 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 2016, n. 16. Disposizioni varie in materia di edilizia ed urbanistica), impugnato dallo Stato con il ricorso iscritto al n. 63 del registro ricorsi 2021. Pendente il giudizio di legittimità costituzionale di tale ultima disposizione, il legislatore siciliano ne aveva disposto l’abrogazione con l’art. 6, comma 1, della legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 2 (Disposizioni in materia di edilizia).

L’odierna disposizione censurata presenta, a parere del Presidente del Consiglio dei ministri, i medesimi vizi di legittimità costituzionale della norma impugnata con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021. Anch’essa, infatti, consente di ottenere una sanatoria paesaggistica ex post, pur se non in aree con vincolo paesaggistico ope legis, in contrasto con il relativo divieto di cui agli artt. 146, comma 4, 167, commi 4 e 5, e 182, comma 3-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137): il che determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), della Costituzione.

La normativa regionale, «determinando un evidente “abbassamento” di tutela dei valori paesaggistici e ambientali», sarebbe in contrasto anche con l’art. 9 Cost.; riaprendo, poi, i termini per la sanatoria con effetti retroattivi, sarebbe irragionevole e dunque in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto del tutto priva di giustificazione.

Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva, infine, che la disposizione impugnata eccederebbe, comunque sia, dalle competenze legislative riservate alla Regione Siciliana dall’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2: se è vero, infatti, che quest’ultimo attribuisce al legislatore siciliano la competenza esclusiva in materia di urbanistica (lettera f) e di tutela del paesaggio e conservazione delle antichità e delle opere artistiche (lettera n), l’esercizio di dette competenze incontra il limite delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, tra le quali vanno senz’altro ricomprese le richiamate previsioni del codice dei beni culturali che hanno introdotto il divieto di sanatoria ex post delle opere realizzate in aree soggette a vincolo.

1.2.– Con l’art. 13, comma 15, il legislatore regionale ha disposto alcune modifiche all’art. 1 della legge della Regione Siciliana 29 novembre 2005, n. 15 (Disposizioni sul rilascio delle concessioni di beni demaniali e sull’esercizio diretto delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), che regola l’esercizio di attività nei beni demaniali marittimi. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, per effetto di queste modifiche devono considerarsi opere destinate alla diretta fruizione del mare, e dunque non devono essere arretrate di 150 metri dalla battigia, anche opere non previste nei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime (d’ora in avanti: PUDM), approvati secondo quanto disposto dalla normativa regionale del 2005, ma realizzate «nell’ambito di stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati».

Il ricorrente rileva che detti PUDM «sono in stretta connessione con il piano paesaggistico», del quale devono recepire «le eventuali prescrizioni aventi contenuto precettivo determinato (come i vincoli di inedificabilità) a tutela dell’ambiente e del paesaggio»; e osserva, anzi, che potrebbero essere gli unici atti «di pianificazione e tutela dell’ambiente marittimo», nel caso in cui – come accade per alcune province siciliane – non sia stato adottato il piano paesaggistico. Ne consegue che la normativa regionale impugnata «comporta una grave lesione della tutela paesaggistica», in quanto il demanio marittimo è un bene paesaggistico tutelato ope legis e le disposizioni impugnate introducono «una deroga al divieto di edificare nel limite di 150 metri dalla battigia».

L’art. 13, comma 15, pertanto, violerebbe l’art. 14 dello statuto speciale, in quanto in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico-sociale del codice dei beni culturali, alla luce del quale la pianificazione paesaggistica «è assunta a valore imprescindibile non derogabile dal legislatore regionale» (è richiamata la sentenza n. 182 del 2006 di questa Corte, nonché la sentenza n. 272 del 2009). In particolare, le norme regionali sarebbero in contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, i quali prevedono: «a) il principio della necessaria pianificazione dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico; b) e il principio della necessaria prevalenza del piano paesaggistico rispetto ad ogni altro strumento di pianificazione, cui consegue la non derogabilità del medesimo da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico».

La disposizione impugnata, poi, sarebbe costituzionalmente illegittima anche per la violazione della Convenzione europea del paesaggio, e dunque dell’art. 117, primo comma, Cost., nonché degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere m) ed s) Cost., in quanto determina un abbassamento del livello di tutela dei valori paesaggistici e ambientali.

1.3.– L’impugnato art. 13, comma 32, dispone l’abrogazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, il quale introduceva le parole «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge», dopo la parola «ammezzati», nell’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come sostituito dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato dallo Stato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021. In tal modo, la disposizione abrogata determinava, osserva il ricorrente, «un importante correttivo alla legge regionale n. 23 del 2021, in quanto limitava la portata degli interventi di recupero abitativo realizzati in deroga alle prescrizioni vigenti soltanto a quelli già esistenti alla data di entrata in vigore della legge stessa».

L’abrogazione disposta con la norma impugnata ripristina, pertanto, il testo normativo oggetto del ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021 e, così, contravverrebbe al principio fondamentale, in materia di governo del territorio, della pianificazione urbanistica di cui all’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica). Sarebbe violato altresì l’art. 14 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. Testo A», il quale prevede, prosegue il ricorrente, che la realizzazione di interventi in deroga alla pianificazione urbanistica «può essere assentita solo previa valutazione fatta caso per caso da parte del Consiglio comunale, sulla base di una ponderazione di interessi riferita alla fattispecie concreta». Peraltro, gli strumenti di pianificazione urbanistica debbono rispettare quanto stabilito nel piano paesaggistico, a essi sovraordinato ai sensi degli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.

La disposizione regionale impugnata, pertanto, determinerebbe un notevole abbassamento del livello di tutela dei valori ambientali e paesaggistici, in contrasto con l’art. 9 Cost., ai sensi del quale ambiente e paesaggio sono valori primari e assoluti (è richiamata la sentenza n. 367 del 2007), e con l’art. 117, primo comma, Cost., per il mancato rispetto della Convenzione europea del paesaggio. Sarebbero altresì violati l’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., sub governo del territorio, in quanto non sarebbero rispettate le richiamate norme di cui alla legge urbanistica, al t.u. edilizia e al codice dei beni culturali. Queste ultime sarebbero, altresì, norme fondamentali di riforma economico-sociale, «in quanto poste a salvaguardia dell’ordinato sviluppo edilizio-urbanistico, nonché a tutela dell’ambiente e del paesaggio», sicché la loro violazione determinerebbe anche il contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale. La disposizione impugnata, infine, violerebbe altresì l’art. 3 Cost., perché consentirebbe ex post, irragionevolmente, «interventi di recupero che – al momento della loro realizzazione – erano in contrasto con gli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, con conseguente pregiudizio per la certezza del diritto e per il legittimo affidamento dei potenziali controinteressati».

1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 13, comma 90, il quale modifica l’art. 54, comma 6, della legge della Regione Siciliana 13 agosto 2020, n. 19 (Norme per il governo del territorio), stabilendo che le misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati dai comuni, e vigenti alla data di entrata in vigore della medesima legge reg. Siciliana. n. 19 del 2020, sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del piano territoriale regionale (PTR) e comunque non oltre tre anni dalla loro entrata in vigore: è tale ultimo termine che è oggetto di modifica, in quanto la previgente formulazione si riferiva a cinque anni.

Secondo il ricorrente, tale disciplina non è in linea con l’art. 12 t.u. edilizia, il quale fissa a tre anni dalla data di delibera di adozione del piano il termine di durata delle misure di salvaguardia; termine protratto a cinque anni, nel caso in cui il comune abbia presentato il piano alla regione per l’approvazione. Si tratta di termini che avrebbero «carattere perentorio» e che «hanno finalità di carattere conservativo», in quanto volte a evitare che «le richieste dei privati, fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, in quanto in fieri, e quindi potenzialmente modificata, finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto […] rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l’attuazione del piano urbanistico in itinere» (è richiamata Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 20 gennaio 2014, n. 257).

La normativa statale contempera due interessi, quello del privato all’edificazione secondo gli strumenti urbanistici vigenti e quello pubblico a rendere effettive le previsioni urbanistiche sin dal momento della loro adozione: di qui l’onere per i comuni di sospendere ogni determinazione sulla domanda di rilascio del permesso di costruire, nel caso in cui si sia in costanza di un procedimento di approvazione di un piano urbanistico o di sue varianti (sono richiamate Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 23 luglio 2009, n. 4660; 28 febbraio 2005, n. 764; 6 marzo 1998, n. 382). La disposizione regionale impugnata, invece, riduce arbitrariamente il termine, introducendo nell’ordinamento regionale una deroga «alle norme statali in tema di pianificazione urbanistica comunale e paesaggistica, agevolando la trasformazione edificatoria del territorio con il conseguente grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio».

Il Presidente del Consiglio dei ministri – una volta osservato che le potestà legislative primarie di cui all’art. 14 dello statuto speciale in materia di tutela del paesaggio e di urbanistica debbono esercitarsi nel rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, quali sono quelle di cui al codice dei beni culturali (è richiamata la sentenza n. 172 del 2018) – conclude affermando che l’art. 13, comma 90, sarebbe costituzionalmente illegittimo per la violazione degli artt. 9 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione europea sul paesaggio; dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali e l’art. 12, comma 3, t.u. edilizia; dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. e dell’art. 14 dello statuto speciale.

1.5.– Con l’art. 13, comma 93, anch’esso impugnato, il legislatore siciliano, mercé la modifica del termine di cui all’art. 49, comma 2, della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), ha prorogato fino al 31 dicembre 2025 «il termine di ultimazione dei lavori rispetto ai quali i permessi a costruire siano stati rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16 del 2016, e per i quali siano stati già comunicati l’inizio dei lavori».

Secondo il ricorrente, in tal modo la Regione Siciliana avrebbe creato «in maniera ingiustificata forti disparità di trattamento tra cittadini a livello nazionale – per i quali il termine a livello statale rimane fermo, ad oggi, al 2020» – e avrebbe invaso la sfera di competenza legislativa esclusiva statale relativa alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni valevoli sull’intero territorio nazionale».

Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che la proroga del predetto termine di ultimazione dei lavori, peraltro già oggetto di altre proroghe in passato, violerebbe l’art. 14 dello statuto speciale, in quanto in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale quali sarebbero certamente «le previsioni legislative statali sulla proroga dei titoli, dettate nell’ambito delle misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina».

Al riguardo, il ricorrente riporta una lunga parte della sentenza n. 245 del 2021 di questa Corte, nella quale si è affermato che le proroghe dei titoli abilitativi disposte dal legislatore statale durante l’emergenza pandemica sono principi fondamentali della materia «governo del territorio», per mezzo dei quali il legislatore statale ha inteso rispondere a esigenze che riguardano l’intero territorio nazionale. Una volta rilevato, poi, che, con l’art. 10-septies, comma 1, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, sono stati ulteriormente prorogati di un anno, al ricorrere di alcune condizioni, i termini relativi a titoli abilitativi rilasciati o formatisi al 31 dicembre 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che la disposizione regionale impugnata deve allora ritenersi in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale, con conseguente violazione dell’art. 14 dello statuto speciale; del pari, sarebbe violato anche l’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., sub governo del territorio.

2.– Con atto depositato il 31 agosto 2022, la Regione Siciliana si è costituita in giudizio, ma limitatamente ad altre disposizioni impugnate con l’odierno ricorso.

3.– In data 1° febbraio 2023 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, con la quale ha insistito per l’accoglimento in parte qua del ricorso.

3.1.– Con riferimento all’art. 12, comma 11, e all’art. 13, commi 15, 32 e 90, la difesa statale ribadisce gli argomenti offerti nel ricorso e rileva che la loro fondatezza sarebbe confermata dal comportamento processuale della resistente, che in relazione a tali disposizioni non si è costituita in giudizio.

3.2.– Con riferimento, infine, all’art. 13, comma 93, il ricorrente precisa che la disciplina regionale sarebbe difforme rispetto all’art. 10-septies, comma 1, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, «sia con riguardo al suo “oggetto” (i.e. i permessi a costruire rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16/2016 per i quali sia stato già comunicato l’inizio dei lavori) sia con riferimento alla durata della proroga (i.e. fino al 31 dicembre 2025)». Anche per questa questione, l’Avvocatura generale dello Stato rileva, poi, che la mancata costituzione in giudizio confermerebbe la violazione dei parametri evocati.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso indicato in epigrafe ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 11, e 13, commi 15, 32, 90 e 93 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, in riferimento a plurimi parametri costituzionali e interposti.

1.1.– La Regione Siciliana si è costituita in giudizio, ma limitatamente ad altre questioni promosse con il medesimo ricorso, la cui definizione resta riservata a separate pronunce.

2.– Le disposizioni impugnate – contenute in articoli la cui rubrica è «Disposizioni varie» (art. 12) e «Altre disposizioni varie» (art. 13) – modificano tutte precedenti leggi della Regione Siciliana e non sono connesse tra loro, sicché devono essere esaminate partitamente.

Due di esse – l’art. 12, comma 11, e l’art. 13, comma 32 – intervengono, peraltro, su complessi normativi che sono stati interessati dalla recente sentenza n. 90 del 2023 di questa Corte: converrà dunque muovere dall’esame delle relative questioni di legittimità costituzionale.

3.– Con l’art. 12, comma 11, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 il legislatore regionale ha introdotto un nuovo comma 2-bis all’art. 25 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, in base al quale – attraverso un richiamo al comma 1 del medesimo art. 25, il quale a sua volta richiama l’art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali – è consentita «la regolarizzazione di concessioni edilizie rilasciate in assenza di autorizzazione paesaggistica, sempre che le relative istanze di concessione siano state presentate al comune di competenza prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Regione del decreto istitutivo del vincolo di cui all’articolo 140 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni». Questa nuova disposizione è sostanzialmente identica all’originario comma 3 del medesimo art. 25, che era stato sostituito dall’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato dinanzi a questa Corte con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021.

3.1.− Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione impugnata presenta i medesimi vizi di legittimità costituzionale del citato art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021.

Anch’essa, infatti, consente di ottenere una sanatoria paesaggistica ex post, pur se non in aree con vincolo paesaggistico ope legis: di qui il preteso contrasto con il relativo divieto di cui agli artt. 146, comma 4, 167, commi 4 e 5, e 182, comma 3-bis, cod. beni culturali e, dunque, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), Cost., oltre che dell’art. 14 dello statuto speciale, dovendo ritenersi le richiamate disposizioni statali espressive di norme fondamentali di riforma economico-sociale.

L’impugnato art. 12, comma 11, sarebbe inoltre in contrasto sia con l’art. 9 Cost., in quanto determinerebbe «un evidente “abbassamento” di tutela dei valori paesaggistici e ambientali», sia con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto irragionevolmente riaprirebbe i termini per la sanatoria con effetti retroattivi.

3.2.– La questione promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata.

Pendente il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, tale disposizione era stata abrogata dall’art. 6, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022. Questa Corte – esclusa la possibilità di dichiarare la cessazione della materia del contendere e rilevato che il legislatore siciliano aveva successivamente introdotto la disposizione ora in esame, ritualmente impugnata – ne ha, tuttavia, dichiarato l’illegittimità costituzionale, per il contrasto con gli artt. 146 e 167 cod. beni culturali e, dunque, con il parametro statutario evocato anche con l’odierno ricorso (sentenza n. 90 del 2023).

L’impugnato art. 12, comma 11, presenta i medesimi vizi della disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima, a nulla rilevando, sotto tale profilo, che esso consente di ottenere la sanatoria paesaggistica ex post per i soli beni paesaggistici dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 140 cod. beni culturali, mentre l’art. 20, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 lo consentiva tanto per tali beni quanto per quelli vincolati paesaggisticamente ex lege.

Anche la disposizione oggetto dell’odierno scrutinio, infatti, rende applicabile il regime transitorio di cui all’art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali a casi ulteriori e diversi da quelli cui si riferisce la normativa statale. Ai sensi di quest’ultima, infatti, «è possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica postuma purché la relativa domanda sia stata presentata prima del 30 aprile 2004; la normativa regionale, invece, prevede la possibilità di ottenere tale autorizzazione, non rilasciata al tempo dell’accordata concessione edilizia, anche per il caso che l’istanza a tal fine sia presentata dopo il 30 aprile 2004: secondo la norma impugnata, infatti, ciò che rileva non è il momento in cui è stata presentata l’istanza di autorizzazione paesaggistica postuma – unica condizione legittimante prevista dal legislatore statale – ma quello, diverso, in cui al Comune è stata fatta istanza di concessione edilizia, la quale deve essere stata presentata prima dell’apposizione del vincolo paesaggistico. La norma impugnata – prevedendo l’applicabilità del regime di cui all’art. 182, comma 3-bis, cod. beni culturali a fattispecie diverse rispetto a quelle ivi contemplate – consente dunque di ottenere la sanatoria paesaggistica ex post in ipotesi diverse da quelle, ristrettissime e tassative (sentenza n. 201 del 2021), di cui agli artt. 146 e 167 cod. beni culturali» (sentenza n. 90 del 2023).

Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.

4.– Connesse a questioni di legittimità costituzionale decise da questa Corte con la già citata sentenza n. 90 del 2023, come già detto, sono anche le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso l’art. 13, comma 32, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, il quale ha disposto l’abrogazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022.

Il ricorrente osserva, infatti, che la disposizione abrogata introduceva le parole «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge», dopo la parola «ammezzati», nell’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come sostituito dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, impugnato dallo Stato con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021. In tal modo, la disposizione abrogata determinava, osserva il ricorrente, «un importante correttivo alla legge regionale n. 23 del 2021», in quanto consentiva di effettuare interventi di recupero abitativo soltanto di pertinenze, locali accessori, interrati, seminterrati e ammezzati già esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016: veniva, così, superata la formulazione precedente che non prevedeva alcun limite temporale e consentiva la deroga alla pianificazione urbanistica in qualunque tempo adottata.

La disposizione impugnata determinerebbe, dunque, il ripristino della norma oggetto delle censure mosse con il ricorso iscritto al n. 63 reg. ric. 2021, in tal modo ponendosi in contrasto con il principio della pianificazione urbanistica di cui all’art. 41-quinquies della legge urbanistica, con l’art. 14 t.u. edilizia – il quale, afferma il ricorrente, prevede che la realizzazione di interventi in deroga alla pianificazione urbanistica «può essere assentita solo previa valutazione fatta caso per caso da parte del Consiglio comunale, sulla base di una ponderazione di interessi riferita alla fattispecie concreta» – nonché con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, ai sensi dei quali gli strumenti di pianificazione urbanistica debbono rispettare quanto stabilito nel piano paesaggistico, a essi sovraordinato. Di qui, la violazione dell’art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo, Cost., oltre che dell’art. 14 dello statuto speciale, dovendosi le disposizioni statali richiamate considerare norme fondamentali di riforma economico-sociale. L’abbassamento del livello di tutela dei valori ambientali e paesaggistici determinerebbe anche la violazione degli artt. 9 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione europea del paesaggio. La disposizione impugnata, infine, violerebbe altresì l’art. 3 Cost., perché consentirebbe ex post, irragionevolmente, «interventi di recupero che – al momento della loro realizzazione – erano in contrasto con gli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, con conseguente pregiudizio per la certezza del diritto e per il legittimo affidamento dei potenziali controinteressati».

4.1.– Ai fini dello scrutinio delle questioni di legittimità costituzionale è essenziale dare conto dell’evoluzione nel tempo dell’art. 5, comma 1, numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, anche alla luce della sentenza n. 90 del 2023 di questa Corte.

Tale disposizione, come sostituita dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, detta – nell’ambito dell’art. 5, comma 1, il quale si occupa di definire gli «interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio […] subordinati a permesso di costruire» –– le condizioni in presenza delle quali, anche in base a quanto previsto dagli altri numeri del medesimo art. 5, comma 1, lettera d), è possibile realizzare opere di recupero volumetrico a fini abitativi e per il contenimento del consumo di nuovo territorio. In particolare, detto numero 4) disponeva: «il recupero abitativo delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati e degli ammezzati aventi altezza minima di m. 2,20 è consentito in deroga alle norme vigenti e comunque per una altezza minima non inferiore a m. 2,20. Si definiscono pertinenze, locali accessori, interrati e seminterrati i volumi realizzati al servizio degli edifici, anche se non computabili nella volumetria assentita agli stessi».

Con l’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, dopo la parola «ammezzati» erano state aggiunte le parole «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge». Conseguentemente, il testo del richiamato art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), era il seguente: «il recupero abitativo delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati e degli ammezzati esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge aventi altezza minima di m. 2,20 è consentito in deroga alle norme vigenti e comunque per una altezza minima non inferiore a m. 2,20. Si definiscono pertinenze, locali accessori, interrati e seminterrati i volumi realizzati al servizio degli edifici, anche se non computabili nella volumetria assentita agli stessi».

Tanto la disposizione introdotta nel 2021, quanto la successiva modifica del 2022 sono state oggetto di diverse questioni di legittimità costituzionale, decise da questa Corte con la sentenza n. 90 del 2023.

Con tale pronuncia, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), come introdotto con la legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, limitatamente alle parole «in deroga alle norme vigenti e comunque», per la violazione che ciò determinava dell’art. 14 dello statuto speciale, in riferimento alle norme fondamentali di riforma economico-sociale poste dalla normativa sugli standard urbanistici e dal codice dei beni culturali.

Con la medesima sentenza n. 90 del 2023 – ed è quanto in questa sede maggiormente rileva – sono state invece dichiarate non fondate le questioni con le quali il Presidente del Consiglio dei ministri aveva lamentato che le disposizioni impugnate consentissero il recupero volumetrico a fini abitativi secondo una disciplina “a regime”, ovvero riguardante immobili venuti a esistenza in ogni tempo, anche successivamente alla legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.

Questa Corte, infatti, ha ritenuto che ciò fosse espressamente escluso dalla formulazione determinata dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, il quale aveva introdotto, come si è visto, le parole «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge», con la conseguenza che «il permesso di costruire volto al recupero volumetrico a fini abitativi può essere ottenuto sempre che riguardi non qualsivoglia immobile, ma un immobile già esistente alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016» (sentenza n. 90 del 2023).

Si è altresì ritenuto che «plurimi indici testuali» – tra i quali il numero 1) del medesimo art. 5, comma 1, lettera d) – consentissero di ricavare, per via ermeneutica, una «[i]dentica norma» dall’art. 5, comma 1, numero 4), nel testo vigente all’indomani dell’entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021 e prima della modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022.

La disposizione impugnata con l’odierno ricorso, come si è detto, determina la mera abrogazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022, sicché vengono a essere espunte, dall’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 le parole «esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge» che quella disposizione aveva introdotto. Con il risultato che il testo oggi vigente di detto art. 5, comma 1, lettera d), numero 4) – salvo che per le parole «in deroga alle norme vigenti e comunque», dichiarate costituzionalmente illegittime con la più volte citata sentenza n. 90 del 2023 – è identico a quello vigente all’indomani dell’entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, dal quale questa Corte ha ritenuto potersi trarre, per interpretazione, la norma secondo cui il permesso di costruire volto al recupero volumetrico a fini abitativi può essere ottenuto sempre che riguardi immobili già esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.

4.2.– Le questioni di legittimità costituzionale promosse con l’odierno ricorso non possono essere risolte in via ermeneutica, per due concorrenti ragioni.

L’impugnato art. 13, comma 32, innanzitutto, è disposizione di mera abrogazione che, proprio in quanto tale, si limita a rimuovere una condizione – quella di esistenza degli immobili alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 – necessaria per realizzare il recupero volumetrico a fini abitativi. La disposizione impugnata, pertanto, non può che avere un unico significato normativo, ovvero quello di consentire il recupero in casi ulteriori e diversi da quelli consentiti dalla disposizione abrogata e, dunque, anche per immobili venuti a esistenza in data successiva alla entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.

Deve rilevarsi, poi, che, successivamente all’approvazione della disposizione impugnata, il legislatore siciliano è intervenuto ancora una volta sull’art. 5 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016: con l’art. 13, comma 58, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie), infatti, è stato modificato il numero 1) della lettera d), il quale, per quel che qui rileva, ora dispone, con norma che vale a individuare gli immobili cui è applicabile anche il numero 4), che costituiscono opere di ristrutturazione edilizia «le opere di recupero volumetrico ai fini abitativi dei sottotetti, delle pertinenze, dei locali accessori, degli interrati e dei seminterrati e degli ammezzati aventi altezza minima di m. 2,20 esistenti alla data del 30 giugno 2023». Orbene, tale ultimo intervento legislativo non solo rende esplicita l’intenzione del legislatore siciliano di consentire il recupero volumetrico a fini abitativi di locali venuti a esistenza anche dopo l’entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, ma incide su uno degli indici testuali che avevano consentito l’interpretazione di cui alla sentenza n. 90 del 2023, inserendo un limite temporale – quello del 30 giugno 2023 – del tutto incompatibile con l’esegesi che ha consentito di ritenere operante la disciplina regionale solo con riguardo a immobili già esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.

4.3.– Tutto ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale promossa in relazione all’art. 14 dello statuto speciale è fondata.

La disposizione impugnata – abrogando dal richiamato art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), il limite temporale inserito dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 – consente di eseguire le opere di recupero volumetrico a fini abitativi di cui alla normativa regionale in esame anche su immobili venuti a esistenza dopo l’entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 e, alla luce della modifica legislativa operata al richiamato art. 5, comma 1, lettera d), numero 1), che delimita l’ambito di applicazione del successivo numero 4), ammette i relativi interventi addirittura su immobili venuti a esistenza sino alla data del 30 giugno 2023: il che determina una violazione del principio della pianificazione urbanistica di cui all’art. 41-quinquies della legge urbanistica, che la giurisprudenza costituzionale ha in più occasioni qualificato come norma fondamentale di riforma economico-sociale (da ultimo, sentenza n. 90 del 2023).

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il recupero volumetrico a fini abitativi persegue interessi ambientali certamente apprezzabili, quali la riduzione del consumo di suolo e l’efficientamento energetico (sentenza n. 54 del 2021). Normative di tal fatta, tuttavia, debbono essere necessariamente eccezionali e transitorie, poiché una generalizzata possibilità di recupero volumetrico a fini abitativi – tanto più se frutto, come nel caso di specie, di reiterati interventi legislativi che ne proiettano nel tempo l’operatività – aumenta in maniera esponenziale il numero degli interventi assentibili e può anche incentivare interventi difformi dai piani urbanistici, in contraddizione con gli obiettivi di contenimento del consumo di suolo ed efficientamento energetico (sentenza n. 17 del 2023). La disposizione impugnata, nel consentire il recupero volumetrico a fini abitativi nell’ampio spazio temporale di cui si è detto e finanche in relazione a immobili non ancora esistenti, compromette irrimediabilmente il principio del necessario rispetto della previa pianificazione urbanistica, in quanto oblitera tanto le valutazioni a monte sul carico urbanistico delle edificazioni operata dalla pianificazione comunale, quanto le valutazioni a valle, che della pianificazione fanno applicazione, poste in essere con i procedimenti autorizzatori edilizi.

Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 32, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.

4.4.– L’anzidetta dichiarazione di illegittimità costituzionale, colpendo una disposizione di mera abrogazione, determina la riviviscenza dell’abrogato art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 (tra le tante, sentenze n. 135 e n. 126 del 2022, n. 220 del 2021); conseguentemente, l’operatività dell’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come introdotto dall’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, è di nuovo circoscritta agli immobili esistenti alla data di entrata in vigore di detta legge reg. Siciliana n. 16 del 2016.

Come si è già rilevato, l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 13, comma 58, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, dispone che il recupero volumetrico a fini abitativi sia realizzabile su immobili esistenti alla data del 30 giugno 2023.

Tale norma, già di per sé in contrasto con il principio della pianificazione urbanistica per le medesime ragioni per cui lo è la disposizione impugnata, individua, lo si è già osservato, gli immobili cui è applicabile, tra le altre, la disciplina di cui all’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), sicché concorre con quest’ultima disposizione nell’ammettere il recupero volumetrico financo di immobili non ancora esistenti. Va rilevato, inoltre, come – una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, con conseguente riviviscenza dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 2 del 2022 – il tessuto normativo di cui all’art. 5 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 restituisce due norme tra loro in contraddizione, l’una consentendo il recupero volumetrico a fini abitativi di immobili esistenti alla data del 30 giugno 2023 (comma 1, lettera d, numero 1), l’altra consentendolo per gli immobili esistenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 (comma 1, lettera d, numero 4): il che, oltre a minare la certezza del diritto, rendendo oscuro agli operatori giuridici l’ambito di operatività temporale della normativa regionale sul recupero volumetrico a fini abitativi, frustrerebbe la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 32, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell’art. 5, comma 1, lettera d), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 13, comma 58, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, limitatamente alle parole «alla data del 30 giugno 2023» e «alla medesima data».

4.5.– A conclusione dello scrutinio dell’anzidetta questione di legittimità costituzionale, questa Corte non può esimersi dal rilevare come il succedersi di plurime, frammentarie e contraddittorie modifiche legislative di testi normativi – tanto più se già oggetto d’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri e in attesa dello scrutinio di legittimità costituzionale – renda la legislazione caotica e di difficile intellegibilità per i cittadini e per ogni operatore giuridico (in termini analoghi, già la sentenza n. 76 del 2023), con possibili ricadute sulla ragionevolezza stessa delle disposizioni, se «foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta» (sentenza n. 110 del 2023). Il che è ancor più allarmante in materie – quali quella dell’edilizia e dell’urbanistica – che non solo hanno un chiaro rilievo sul piano economico, ma hanno altresì ricadute su altri interessi costituzionali di primario rilievo, quali l’ambiente e il paesaggio.

5.– Con l’impugnato art. 13, comma 15, il legislatore siciliano ha disposto alcune modifiche all’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2005, che regola l’«esercizio di attività nei beni demaniali marittimi». Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, per effetto di queste modifiche possono essere realizzate entro 150 metri dalla battigia quelle opere che, pur non previste nei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime (d’ora in avanti: PUDM), siano realizzate «nell’ambito di stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati».

I PUDM, a detta del ricorrente, sarebbero «in stretta connessione con il piano paesaggistico», sicché la disposizione impugnata, introducendo «una deroga al divieto di edificare nel limite di 150 metri dalla battigia», comporterebbe «una grave lesione della tutela paesaggistica». Ne deriverebbe una violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, in quanto la disposizione regionale si porrebbe in contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, i quali prevedono: «a) il principio della necessaria pianificazione dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico; b) e il principio della necessaria prevalenza del piano paesaggistico rispetto ad ogni altro strumento di pianificazione, cui consegue la non derogabilità del medesimo da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico». L’abbassamento del livello di tutela dei valori paesaggistici e ambientali determinato dall’impugnato art. 13, comma 15, renderebbe quest’ultimo costituzionalmente illegittimo anche per violazione della Convenzione europea del paesaggio, e dunque dell’art. 117, primo comma, Cost., nonché degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettere m) ed s), Cost.

5.1.– In via preliminare, deve rilevarsi che, sebbene sia impugnato l’intero comma 15, le censure del Presidente del Consiglio dei ministri sono rivolte alla sola lettera b), numero 1): è solo a questa parte del comma 15, pertanto, che va circoscritto il thema decidendum.

5.2.– La disposizione impugnata prevede che all’art. 1, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2005 – la cui rubrica è: «Esercizio di attività nei beni demaniali marittimi» – «dopo le parole “nei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime approvati ai sensi della presente legge” sono aggiunte le parole “o realizzate negli stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati”».

Alla luce di detta modifica, tale art. 1, comma 4, ora dispone: «Ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 15, lettera a), della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, le opere connesse all’esercizio delle attività di cui al comma 1 sono considerate opere destinate alla diretta fruizione del mare quando previste nei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime approvati ai sensi della presente legge o realizzate negli stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati e sono soggette ai provvedimenti edilizi abilitativi nei comuni competenti per territorio, validi nel caso di concessioni demaniali marittime per tutta la durata delle stesse, anche se rinnovate senza modifiche sostanziali».

Le richiamate attività di cui al comma 1 del medesimo articolo sono:

«a) gestione di stabilimenti balneari e di strutture relative ad attività sportive e ricreative;

b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio;

c) costruzione, assemblaggio, riparazione, rimessaggio anche multipiano, stazionamento, noleggio di imbarcazioni e natanti in genere, nonché l’esercizio di attività di porto a secco, cantieri nautici che possono svolgere le attività correlate alla nautica ed al diporto, comprese le attività di commercio di beni, servizi e pezzi di ricambio per imbarcazioni;

d) esercizi diretti alla promozione e al commercio nel settore del turismo, dell’artigianato, dello sport e delle attrezzature nautiche e marittime;

[…]

f) porti turistici, ormeggi, ripari, darsene in acqua o a secco, ovvero ricoveri per le imbarcazioni e natanti da diporto;

f-bis) eventi e cerimonie, anche a carattere religioso, con possibilità di svolgimento o durante o dopo l’orario dedicato alla balneazione;

f-ter) ricettività diffusa e ricettività “open air”».

L’art. 15, primo comma, lettera a), della legge della Regione Siciliana 12 giugno 1976, n. 78 (Provvedimenti per lo sviluppo del turismo in Sicilia), richiamato dal citato art. 1, comma 4, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2005, a sua volta dispone che «Ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: a) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 150 dalla battigia; entro detta fascia sono consentite opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare, nonché la ristrutturazione degli edifici esistenti senza alterazione dei volumi già realizzati».

5.2.1.– Dall’intreccio delle disposizioni ora richiamate si ricava che:

i) il legislatore siciliano ha previsto un divieto di costruzione entro i 150 metri dalla battigia (art. 15, lettera a, della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976);

ii) in deroga a detto divieto, entro i 150 metri dalla battigia sono consentite opere e impianti destinati alla diretta fruizione del mare (ancora art. 15, lettera a, della legge reg. Siciliana n. 78 del 1976);

iii) sono considerate opere destinate alla diretta fruizione del mare quelle connesse all’esercizio delle attività di cui all’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2005 (art. 1, comma 4, della medesima legge reg. Siciliana n. 15 del 2005) purché:

iv) tali opere siano previste nei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime o, in base alle parole aggiunte dalla disposizione impugnata, siano realizzate negli stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati.

Con la disposizione impugnata, pertanto, il legislatore siciliano, come correttamente rileva il Presidente del Consiglio dei ministri, consente la costruzione di opere entro i 150 metri dalla battigia, se connesse all’esercizio delle attività di cui all’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2005, anche laddove non siano previste dai PUDM e purché siano realizzate in stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati.

5.3.– Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata, in quanto la disposizione impugnata viola il principio della necessaria pianificazione dei beni sottoposti a vincolo paesaggistico, che è norma fondamentale di riforma economico-sociale.

I PUDM – la cui adozione è imposta alle regioni dall’art. 6 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494 – sono «strumenti settoriali “destinat[i] ad assolvere, nella prospettiva della migliore gestione del demanio marittimo d’interesse turistico-ricreativo, ad una funzione schiettamente programmatoria” delle concessioni demaniali, al fine di “rendere compatibile l’offerta dei servizi turistici con le esigenze della salvaguardia e della valorizzazione di tutte le componenti ambientali dei siti costieri, onde consentirne uno sfruttamento equilibrato ed ecosostenibile” (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 21 giugno 2005, n. 3267)» (sentenza n. 108 del 2022). In tal modo, essi svolgono «un’essenziale funzione non solo di regolamentazione della concorrenza e della gestione economica del litorale marino, ma anche di tutela dell’ambiente e del paesaggio, garantendone tra l’altro la fruizione comune anche al di fuori degli stabilimenti balneari» (ancora sentenza n. 108 del 2022).

La disposizione impugnata si fonda su un duplice presupposto, uno esplicito e uno implicito: in base a quello esplicito, non deve essere stato ancora adottato un PUDM relativo al territorio comunale interessato; in base a quello implicito, in relazione a tale territorio comunale non deve ancora essere stato adottato un piano paesaggistico ex artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, poiché ovviamente, ove così fosse, ogni attività che si volesse realizzare sui beni paesaggisticamente vincolati sarebbe condizionata da detto piano. Al sussistere di entrambe le condizioni – assenza tanto di PUDM quanto di piano paesaggistico – la previsione regionale consente che le opere connesse all’esercizio delle attività di cui all’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2005 possano essere realizzate negli stabilimenti balneari autorizzati su terreni privati anche entro i 150 metri dalla battigia e, dunque, sui litorali marini, che sono beni paesaggistici tutelati ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera a), cod. beni culturali.

Non rileva, al riguardo, la circostanza per cui – trattandosi di luoghi paesaggisticamente vincolati – sarebbe comunque necessario, per ogni opera, ottenere anche l’autorizzazione paesaggistica, oltre al provvedimento edilizio abilitativo. A ledere il principio di cui alla normativa statale è la circostanza che la previsione legislativa regionale, consentendo la realizzazione di opere lungo la costa siciliana entro i 150 metri dalla battigia, possa determinare «il consolidamento di situazioni tali da ostacolare il compiuto sviluppo della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 187 del 2022), che questa Corte ha costantemente affermato essere «valore imprescindibile […] espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme di tutela, conservazione e trasformazione del territorio» (da ultimo, sentenze n. 221 e n. 192 del 2022).

La disposizione impugnata consente dunque, seppur al ricorrere di talune condizioni ed entro specifiche parti di territorio, il consumo delle fasce costiere, paesaggisticamente vincolate, con interventi parcellizzati, senza quella «visione d’insieme delle aree da tutelare e dei contesti in cui le medesime sono inserite» (sentenza n. 187 del 2022) che richiede la tutela del paesaggio e dell’ambiente di cui all’art. 9 Cost.

Deve dunque essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15, lettera b), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022. Restano assorbite le ulteriori questioni promosse nei confronti della medesima disposizione.

6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 13, comma 90, della medesima legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, il quale dispone che all’art. 54, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, «le parole “non oltre cinque anni” sono sostituite dalle parole “non oltre tre anni”». Per l’effetto, le misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati dai comuni, e vigenti alla data di entrata in vigore della medesima legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del Piano territoriale regionale e comunque non oltre tre anni dalla loro entrata in vigore.

Secondo il ricorrente, tale disciplina non sarebbe in linea con l’art. 12 t.u. edilizia, il quale fissa in tre anni dalla data di delibera di adozione dello strumento urbanistico il termine di durata delle misure di salvaguardia; termine, però, protratto a cinque anni nel caso in cui il comune abbia presentato il piano urbanistico alla regione per l’approvazione. La normativa statale sarebbe volta a contemperare l’interesse del privato all’edificazione secondo gli strumenti urbanistici vigenti con quello pubblico a rendere effettive le previsioni urbanistiche sin dal momento della loro adozione, sicché la disposizione regionale impugnata, riducendo arbitrariamente il termine, derogherebbe «alle norme statali in tema di pianificazione urbanistica comunale e paesaggistica, agevolando la trasformazione edificatoria del territorio con il conseguente abbassamento del livello della tutela del paesaggio».

Di qui, sostiene il ricorrente, la violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, essendo l’art. 12 t.u. edilizia norma fondamentale di riforma economico-sociale, nonché degli artt. 9 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione europea sul paesaggio; dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., rispetto al quale costituiscono norme interposte gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali, oltre che il medesimo art. 12 t.u. edilizia; e, infine, dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

6.1.– Il quadro normativo entro cui si colloca la disposizione impugnata è più complesso di quanto non sia delineato dal Presidente del Consiglio dei ministri.

L’art. 12, comma 3, t.u. edilizia prevede che «[i]n caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione».

Questa Corte ha già rilevato che la ratio di tale normativa statale sia «quella di evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorità competente, di eventuali previsioni di non edificabilità previste dal piano in vigore consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l’approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano. L’adozione del piano, pertanto, ha funzione cautelativa nei riguardi di quei progetti che non si conformano allo stesso: da ciò deriva che l’effetto di salvaguardia previsto dal comma 3 dell’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001, è strettamente collegato all’adozione del piano, cioè dello strumento urbanistico modificativo della precedente previsione» (sentenza n. 102 del 2013). In quella medesima pronuncia, è stato altresì affermato, da un lato, che la disciplina sulle misure di salvaguardia è principio fondamentale nella materia «governo del territorio», incidendo tanto sui tempi dell’attività edificatoria quanto sulla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere e dell’ordinato assetto del territorio; dall’altro, che il principio espresso dall’art. 12, comma 3, t.u. edilizia è quello «secondo cui le amministrazioni debbono definire in tempi congrui l’iter procedimentale conseguente all’adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione» (ancora, sentenza n. 102 del 2013).

Quello delle misure di salvaguardia è, dunque, un istituto volto a trovare un contemperamento tra interessi contrapposti: da un lato, l’interesse pubblico a che, nelle more dell’approvazione definitiva dello strumento urbanistico, non siano realizzati interventi edilizi che comportino una modificazione del territorio tale da rendere difficile o impossibile l’attuazione del nuovo piano non ancora approvato; dall’altro, l’interesse del privato a vedere esaminata dal comune la sua richiesta di permesso di costruire, che è conforme allo strumento urbanistico vigente ma non anche a quello non ancora approvato, che potrebbe anche non entrare mai in vigore (di qui, la mera sospensione, e non già il diniego, della determinazione comunale).

Tale contemperamento è realizzato dall’art. 12, comma 3, t.u. edilizia con due distinte norme, in rapporto tra loro di genere a specie: la norma generale fissa la durata delle misure di salvaguardia in tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico; la norma speciale estende tale durata a cinque anni, laddove, entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione, lo strumento urbanistico sia sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione. La norma speciale ha, evidentemente, natura premiale verso le amministrazioni comunali: ove lo strumento urbanistico adottato sia tempestivamente inviato all’autorità competente alla sua approvazione, e dunque il comune si sia adoperato affinché il nuovo piano acquisti presto vigenza, l’interesse pubblico a preservarne la portata gode di un regime di favore, che si sostanzia nella durata delle misure di salvaguardia nel maggior termine di cinque anni.

6.1.1.– La legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 – che ha disposto il recepimento del t.u. edilizia nella Regione Siciliana, titolare di potestà legislativa esclusiva in materia di «urbanistica» e «tutela del paesaggio» ai sensi dell’art. 14, lettere f) ed n), dello statuto speciale – non regola autonomamente l’istituto delle misure di salvaguardia. L’art. 1, comma 1, di detta legge regionale – nel suo testo originario – espressamente stabiliva che trovava applicazione sul territorio regionale, tra le altre disposizioni, l’art. 12 t.u. edilizia; tale art. 1, comma 1, nel testo oggi vigente a seguito della novella operata dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 23 del 2021, prevede che «fatto salvo quanto previsto al Titolo II» nella Regione si applica il t.u. edilizia: poiché tale Titolo II nulla dispone in ordine alle misure di salvaguardia, resta applicabile sul territorio regionale l’art. 12 t.u. edilizia.

6.1.2.– La disposizione impugnata, come si è detto, reca una modifica all’art. 54, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020.

Tale legge regionale disciplina «le azioni della Regione, delle Città metropolitane, dei liberi Consorzi comunali e dei comuni nel governo del territorio e stabilisce i principi fondamentali per la tutela del suolo e delle sue funzioni, anche al fine di promuovere e tutelare l’ambiente, il paesaggio e l’attività agricola nonché di impedire in via di principio l’ulteriore consumo di suolo» (art. 1).

L’art. 19, comma 1, di detta legge prevede il piano territoriale regionale con valenza economico-sociale, che «costituisce lo strumento di proiezione territoriale delle strategie di sviluppo economico e sociale di breve, medio e lungo termine con le quali la Regione realizza, orienta, indirizza e coordina la programmazione delle risorse e la pianificazione strategica, di coordinamento territoriale e urbanistica delle Città metropolitane, dei liberi Consorzi comunali e dei comuni, singoli o associati».

Il successivo art. 20 dispone: «1. Il PTR, rispetto ai contenuti di cui all’articolo 19, costituisce quadro di riferimento per gli atti di governo del territorio degli enti locali, degli enti gestori di aree naturali protette nonché di ogni altro ente dotato di competenze che abbiano incidenza sul territorio. 2. Le previsioni del PTR prevalgono sulle disposizioni eventualmente difformi o non coerenti contenute nei piani territoriali degli enti locali. In tal caso, questi ultimi, entro novanta giorni dalla data di approvazione del PTR, conformano i propri strumenti pianificatori al PTR mediante atto deliberativo consiliare».

Le successive disposizioni della legge regionale prevedono poi gli ulteriori strumenti urbanistici di livello subregionale: il piano territoriale consortile e della città metropolitana (art. 22), il piano urbanistico generale comunale (art. 25) e il piano particolareggiato attuativo (art. 30).

Nel Titolo IX della medesima legge regionale, dedicato alle «Disposizioni transitorie e finali», il legislatore siciliano ha infine previsto, all’art. 53, che il PTR deve essere approvato entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge medesima e che entro un anno dall’adozione del PTR devono essere approvati i piani urbanistico-territoriali da parte degli enti locali. Il successivo art. 54 reca le misure di salvaguardia e al comma 6 dispone che «Le misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati dai comuni, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del PTR e comunque non oltre cinque anni dalla loro entrata in vigore»: si tratta, come si è già visto, della disposizione modificata da parte della disposizione regionale oggi impugnata, con la quale il termine è stato ridotto a tre anni.

Quest’ultima disposizione reca, dunque, una norma transitoria che concerne la durata non di tutte le misure di salvaguardia efficaci sul territorio siciliano – per le quali, di regola, vale la disciplina di cui all’art. 12 t.u. edilizia, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 – ma soltanto di quelle già efficaci alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020. La ratio è quella di prorogare l’efficacia delle misure di salvaguardia all’epoca vigenti – per un tempo pari all’adozione del PTR o, in mancanza di questa, a cinque anni – in modo da consentire l’entrata a regime della nuova disciplina sul governo del territorio e, nel frattempo, preservare la portata dispositiva dell’adottando PTR.

Ne consegue che nella Regione Siciliana convivono due discipline sulla durata delle misure di salvaguardia: una generale, che, secondo quanto prescrive l’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, rende applicabili le norme poste dall’art. 12, comma 3, t.u. edilizia e, dunque, vale a determinare la durata delle misure di salvaguardia a seguito dell’adozione di nuovi piani; e una speciale, che, alle misure di salvaguardia già efficaci alla data di entrata in vigore della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, applica i termini di cui all’art. 54 di quest’ultima.

6.2.– L’interazione e il rapporto tra le diverse disposizioni regionali ora richiamate non sono state considerate dal ricorrente. Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, fonda le censure sul presupposto – erroneo – secondo cui l’art. 54, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, come modificato dalla disposizione impugnata, dispone i termini di durata di ogni misura di salvaguardia sul territorio siciliano, dettando tuttavia una normativa che, in quanto non prevede una norma speciale e premiale quale quella prevista dall’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, sarebbe costituzionalmente illegittima.

Ricostruito nei sensi anzidetti il quadro normativo, le questioni promosse si rivelano tutte non fondate.

6.2.1.– L’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, lo si è già rilevato, trova applicazione anche nella Regione Siciliana – ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 – e, dunque, anche sul territorio siciliano il termine di efficacia delle misure di salvaguardia è quello, ivi previsto, di tre o cinque anni, a seconda che trovi applicazione la norma generale o quella speciale e premiale.

Al contempo, l’art. 54, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, al fine di consentire l’entrata a regime della nuova disciplina sul governo del territorio, aveva prorogato le misure di salvaguardia – quelle già efficaci al momento dell’entrata in vigore di detta legge – fino al termine massimo di cinque anni: un termine pari, dunque, a quello previsto dalla norma speciale e premiale di cui all’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, e ciò a prescindere dalla ricorrenza o meno dei presupposti di cui alla medesima norma.

Detto art. 54, comma 6, tuttavia, ha prorogato sino al termine massimo di cinque anni le sole misure di salvaguardia già efficaci che, in base alla norma generale di cui all’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, avrebbero altrimenti avuto durata triennale, le uniche che erano propriamente prorogabili. La durata delle misure di salvaguardia che invece, in base alla norma speciale di cui all’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, avevano già di per sé efficacia quinquennale non è stata in alcun modo incisa dal richiamato art. 54, in ragione del fatto che la loro durata era già, appunto, quinquennale.

La disposizione regionale oggi impugnata, la quale ha modificato l’art. 54, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020 stabilendo in tre anni il termine massimo di durata delle misure di salvaguardia prorogate, ha dunque effetto soltanto sulle misure già efficaci alla data di entrata in vigore della medesima legge reg. Siciliana n. 19 del 2020, cui si applica il regime previsto dalla norma generale espressa dall’art. 12, comma 3, t.u. edilizia, che stabilisce una durata triennale delle misure di salvaguardia. Diversamente, le misure che, beneficiando del regime speciale e premiale di cui al medesimo art. 12, comma 3, hanno durata quinquennale, non ricadono nel campo di applicazione della disposizione impugnata, come già non ricadevano in quello dell’art. 54 della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020.

Altrimenti detto, con l’impugnato art. 13, comma 90, il legislatore siciliano ha disposto che la proroga di cui all’art. 54, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2020 sia non più di cinque, ma di tre anni, con il che ha ricondotto la durata delle misure di salvaguardia vigenti alla data di entrata in vigore della medesima legge regionale – misure alle quali, per quanto anzi detto, non era applicabile il regime speciale e premiale di cui all’art. 12, comma 3, t.u. edilizia – alla medesima durata, pari a un triennio, prevista dalla norma generale dettata dallo stesso art. 12, comma 3. Di qui, pertanto, la non fondatezza di tutte le questioni di legittimità costituzionale promosse, in quanto la disposizione impugnata non si discosta affatto dalla normativa statale che funge da limite alla potestà legislativa della Regione Siciliana.

7.– Le ultime questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe, da definirsi con la presente pronuncia, hanno per oggetto l’art. 13, comma 93, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

Con tale disposizione, il legislatore regionale, modificando il termine di cui all’art. 49, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, ha prorogato fino al 31 dicembre 2025 «il termine di ultimazione dei lavori rispetto ai quali i permessi a costruire siano stati rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16 del 2016, e per i quali sia stato già comunicato l’inizio dei lavori».

Secondo il ricorrente, in tal modo la Regione Siciliana avrebbe determinato una disparità di trattamento a livello nazionale, dove è diverso il termine per l’ultimazione dei lavori.

La proroga del predetto termine, peraltro già oggetto di altre proroghe in passato, violerebbe altresì l’art. 14 dello statuto speciale, in quanto in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale quali sarebbero certamente «le previsioni legislative statali sulla proroga dei titoli, dettate nell’ambito delle misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina» (il riferimento è, in particolare, all’art. 10-septies, comma 1, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito); del pari, sarebbe violato anche l’art. 117, commi secondo, lettera m), e terzo, Cost., sub governo del territorio.

7.1.– La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata, con assorbimento delle altre censure.

7.1.1.– L’art. 15 t.u. edilizia disciplina l’efficacia temporale del permesso di costruire, stabilendo che i termini di inizio e di ultimazione dei lavori siano indicati nello stesso permesso (comma 1) e che, ad ogni modo, il termine per l’inizio dei lavori non possa essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo e quello di ultimazione non possa superare tre anni dall’inizio dei lavori (comma 2).

L’art. 6 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 – la quale, come si è già visto, recepisce il t.u. edilizia – detta una disciplina, per questi aspetti, identica.

Diversa è, invece, la regolamentazione in materia di proroga dei termini relativi al permesso di costruire nella disciplina statale e in quella regionale.

Ai sensi dell’art. 15, comma 2, t.u. edilizia, «[l]a proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari». Il successivo comma 2-bis dispone che «[l]a proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate».

L’art. 6, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 prevede una norma identica a quest’ultima, ma il precedente comma 2 dispone che i termini «sono prorogati di due anni rispettivamente di inizio e ultimazione, utilizzabili entrambi, anche nell’ambito dello stesso procedimento, previa comunicazione motivata dell’interessato da notificarsi prima della scadenza dei medesimi termini, a condizione che i lavori da eseguirsi non risultino in contrasto con nuovi strumenti urbanistici, approvati o adottati, salvo comunicazione della dichiarazione di inizio lavori».

7.1.2.– L’art. 49 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, come modificato dalla disposizione impugnata, dispone che «[p]er i permessi a costruire rilasciati prima della pubblicazione della legge regionale n. 16/2016, per i quali sono stati già comunicati l’inizio dei lavori, il termine di ultimazione degli stessi è prorogato fino al 31 dicembre 2025»: prima della norma regionale oggetto del presente giudizio, il termine era fissato al 31 dicembre 2020. La norma dispone, dunque, una proroga ex lege del termine di ultimazione dei lavori, per i soli permessi a costruire rilasciati prima della pubblicazione della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, in ciò differenziandosi dalla proroga di cui all’art. 6, comma 2, della medesima legge regionale, proroga che deve essere richiesta dall’interessato.

Il termine di ultimazione dei lavori prorogato ex lege, peraltro, era stato fissato dal legislatore siciliano del 2017 al 31 dicembre di quello stesso anno, per poi essere più volte spostato in avanti: al 31 dicembre 2018, ai sensi dell’art. 33, comma 2, della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale); al 31 dicembre 2019, ai sensi dell’art. 2 della legge della Regione Siciliana 28 dicembre 2018, n. 28 (Proroga dei termini per il sostegno dell’attività edilizia e la riqualificazione del patrimonio edilizio. Modifiche all’articolo 49 della legge regionale 11 agosto 2017, n. 16); al 31 dicembre 2020, termine questo vigente prima dell’adozione della disposizione impugnata, ai sensi dell’art. 5 della legge della Regione Siciliana 14 dicembre 2019, n. 25 (Variazione territoriale dei confini dei comuni di Agrigento, Aragona e Favara. Modifiche all’articolo 49 della legge regionale 11 agosto 2017, n. 16).

7.1.3.– Questa Corte ha in più occasioni affermato che la disciplina statale inerente ai titoli abilitativi non solo è riconducibile ai princìpi fondamentali della materia «governo del territorio» (da ultimo, sentenza n. 245 del 2021), ma deve altresì qualificarsi come espressione di norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto tale condizionante la potestà legislativa primaria delle regioni a statuto speciale (sentenza n. 90 del 2023).

Per quel che concerne specificamente la durata di detti titoli abilitativi, prevista dal t.u. edilizia, si è affermato che tale principio fondamentale individua «un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di trasformazione del territorio compatibili con la tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo urbanistico» (sentenza n. 245 del 2021). Se spetta al legislatore statale stabilire il regime ordinario concernente i termini di inizio e ultimazione dei lavori – comprensivo della possibilità di richiedere una proroga di detti termini – non può che spettare al medesimo legislatore statale incidere eccezionalmente su tale regime, laddove ritenga che vi siano esigenze temporanee che consiglino una diversa durata dei titoli abilitativi, espressione di un diverso punto di equilibrio: è quanto, durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19, il legislatore statale ha ritenuto di fare con diverse disposizioni – quale anche l’art. 10-septies, comma 1, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito, richiamato dal ricorrente, successivamente modificato ad opera dell’art. 10, comma 11-decies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14 – con ciò rispondendo a esigenze sociali ed economiche che riguardavano l’intero territorio nazionale, bilanciando «l’interesse dei beneficiari dei titoli abilitativi a esercitare i diritti ivi conformati, da un lato, e l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un tempo eccessivo, dall’altro» (sentenza n. 245 del 2021).

7.1.4.– La normativa regionale impugnata, espressiva della potestà legislativa esclusiva in materia di «urbanistica» e «tutela del paesaggio» (art. 14, lettere f ed n, dello statuto speciale), è radicalmente incoerente rispetto alla normativa statale, espressiva di norme fondamentali di riforma economico-sociale.

Il legislatore statale – che già ha previsto un regime ordinario per la proroga dei termini dei permessi di costruire che richiede l’adozione di un provvedimento motivato, in presenza di precisi presupposti (art. 15, comma 2, t.u. edilizia) – quando ha di recente inciso sulla durata dei permessi di costruire di cui al medesimo art. 15 t.u. edilizia, con normative dal carattere eccezionale quale quella evocata dal ricorrente, lo ha fatto ispirandosi a due princìpi, espressivi del bilanciamento tra contrapposti interessi: per un verso, ha prorogato di un anno i termini sia di inizio che di ultimazione dei lavori come individuati dai singoli permessi di costruire, la cui efficacia temporale continua dunque a essere fissata dai permessi stessi e non è predeterminata dalla legge (art. 10-septies, comma 1, lettera a, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito; l’art. 10, comma 11-decies, lettera a, del d.l. n. 198 del 2022, come convertito, ha successivamente disposto che la proroga sia di due anni); per un altro, ha previsto che sia onere dell’interessato comunicare di volersi avvalere della proroga (ancora art. 10-septies, comma 1, lettera a, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito).

Del tutto diversa è, invece, l’impostazione su cui si fonda l’art. 49 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, come modificato dalla disposizione impugnata. Il legislatore siciliano, infatti, ha disposto una proroga al 31 dicembre 2025 per l’ultimazione dei lavori, così individuando una data identica per tutti i permessi di costruire interessati dalla proroga e, dunque, incidendo sul principio per cui è lo stesso permesso che, in concreto, stabilisce i termini di inizio e ultimazione dei lavori. La proroga di cui alla disposizione impugnata, inoltre, opera ex lege, a prescindere da ogni attività del soggetto interessato, e si presenta eccentrica, dunque, non solo rispetto alla normativa statale, ma anche rispetto al regime ordinario di proroga di cui alla legge reg. Siciliana n. 16 del 2016, il quale prevede pur sempre una comunicazione motivata dell’interessato (art. 6, comma 2).

Deve rilevarsi, infine, come la proroga disposta dalla normativa regionale concerna l’ultimazione di lavori previsti da permessi di costruire rilasciati prima della pubblicazione, avvenuta ad agosto 2016, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 e già più volte prorogati. Ne consegue che, potendo riguardare la disposizione impugnata anche permessi di costruire rilasciati ben prima dell’agosto 2016, l’efficacia temporale di detti permessi può essere anche più che decennale, a fronte della durata di analoghi permessi sul resto del territorio nazionale che, quand’anche si avvalgano delle recenti proroghe, resta ben al di sotto dei dieci anni.

Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 93, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15, lettera b), numero 1), della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 32, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 93, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022;

5) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera d), numero 1), della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), come modificato dall’art. 13, comma 58, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie), limitatamente alle parole «alla data del 30 giugno 2023» e «alla medesima data»;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 90, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, commi primo e secondo, lettere m) ed s), della Costituzione, nonché all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 marzo 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023